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TARANTO FC

Una rosa da ripensare

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La 3millesima partita in campionato del Taranto ha avuto un esito abbastanza prevedibile.
L’1-1 di Nardò (campo sempre complicato per i rossoblu) era già scritto nell’aria ed è venuto dopo la solita prestazione degli uomini di Panarelli, tecnicamente più di una spanna superiori agli avversari di turno.

Una superiorità che però è stata annullata dal Nardò (e da altri in precedenza) con intensità e cattiveria agonistica. Quella che spesso è mancata alla formazione rossoblu quest’anno. Quasi una partita di fine stagione insomma, col punto che serve più al Nardò che ha la salvezza da raggiungere al cospetto di un Taranto che ormai si trascinerà lentamente fino a fine campionato.

Ma sarebbe troppo semplice confinare il fallimento della stagione alla presunta mancanza di “nerbo” dei protagonisti in campo. Anzi, è lecito pensare il contrario. I due Manzo, Allegrini, Benvenga, Oggiano, D’Agostino, Guaita, Genchi, hanno diverse stagioni su questi campi alle spalle, per cui è difficile pensare che non sappiano come giocarsi certe partite e come cercare di vincerle.

È evidente che questa squadra sia un puzzle incompleto che si inceppa davanti a compagini molto meno attrezzate ma che, impostando le gare contro i rossoblu con atteggiamento di attesa, intasando gli spazi e “attenzionando” i più tecnici, riescono facilmente a disinnescare le iniziative offensive di D’Agostino e company e magari anche a piazzare il colpo vincente.

Al netto di quanto già detto e ridetto, trito e ritrito, a questo Taranto è comunque mancato il bomber. Il centravanti che risolve le partite complicate attraverso un guizzo improvviso, d’astuzia, di rapina, per usare un termine ormai in disuso ma che la semplicità dialettica di una volta riusciva ad esprimere con efficacia immediata. Basta ricordare il modo identico con cui si è perso in casa le 4 partite con Brindisi, Sorrento, Gravina e Nocerina. Un attaccante alla Hernan Molinari che fu (per caratteristiche, s’intende), che avrebbe evitato a questa squadra di terminare 8 partite con la casella gol fatti a zero, di cui sette perse, oltre allo 0-0 col Casarano.

Si è pensato potesse essere Genchi, ma il vecchio Peppiniello fa vedere solo sprazzi di quello che è stato, anche se resta il cannoniere principe della squadra.
Si è puntato sulla definitiva esplosione di Favetta, ragazzo generoso ma abbonato ai pali ed alle occasioni fallite ad un metro dalla porta. Si è partiti con l’equivoco tattico di D’Agostino, gestione Ragno, durante la quale a tutti sembrava eresia la sua posizione da esterno di centrocampo (quando giocava). Ora non di rado si vede D’Agostino troppo lontano dalla porta e, a volte, proprio in posizione di esterno. Comunque un D’Agostino irriconoscibile rispetto alle due precedenti stagioni.

Tutta colpa dei giocatori? Forse. Ma questa involuzione generale è figlia di un contesto non ottimale e di una rosa a cui manca un cecchino. Sarebbe potuto essere Patierno, a lungo corteggiato in estate ma poi abbandonato per l’ipotetica e ancora tutta da decifrare situazione del caso Picerno-Bitonto (non solo dal Taranto).

Ma anche in questo caso, non possiamo mettere la mano sul fuoco che il Patierno esplosivo di Bitonto avrebbe avuto lo stesso rendimento qui a Taranto. In fondo, chi avrebbe mai immaginato il flop di Guaita, Matute, Genchi e l’involuzione dei vecchi?

È una squadra costruita male e amalgamata peggio. Questo è il Taranto, anche secondo la disamina di De Santis, al quale è demandato l’onere di ripensare la rosa del prossimo anno.

Intanto c’è un campionato da portare a termine, Giove minaccia esclusioni eccellenti per la prossima in casa a favore di gente giovane che rimpiazzi alcuni big. E un po’ di brivido freddo ci viene dietro la schiena. Ma sarà il gelido inverno di gennaio.

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